Tourism is sin, and travel on foot virtue
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Tourism is sin, and travel on foot virtue

di Serena Marchionni

Werner Herzog nella dichiarazione Minnesota mette causticamente in questione ogni possibile fiducia nei fatti, così come li intende il paradigma positivista, e riflette sulle possibilità di avvicinarsi a qualche tipo di certezza. Afferma che i registi del cinema-verità sono turisti che fotografano le rovine dei fatti. Ogni volta che rileggo questo manifesto penso che saggezza e ironia siano magistralmente assemblate assieme. Continua al punto sette con: «Tourism is sin, and travel on foot virtue.»[1] Werner Herzog è un artista e un camminatore e no, nella sua dichiarazione non sta offrendo né una ricetta per vivere né un metodo per fare arte documentaria. Sta definendo i limiti della sua disciplina e suggerisce la via del camminare, dell’essere pellegrini, come antidoto alla presunzione di conoscenza e verità, con le sue imprese esistenziali e artistiche ne porta esempio.

Quando, nel 1974, Werner Herzog seppe che la sua amica Lotte Eisner era gravemente malata, si mise in cammino con l’assurda convinzione che raggiungere a piedi Parigi, da Monaco, l’avrebbe salvata. Il libro-diario Sentieri nel ghiaccio, che deriva da questo viaggio, è una cronaca asciutta del viaggio nel cuore d’Europa, l’autore annota fatti, fatiche e descrizioni minime dei luoghi che attraversa. Si conclude con l’incontro dei due amici a Parigi: «Allora lei mi ha guardato con un lieve sorriso e poiché sapeva che ero uno che andava a piedi e perciò un indifeso, mi ha compreso.» (Herzog, 1980)

Nel 2001 gira il corto-documentario Pilgrimage[2], qui pellegrini di diverse parti del mondo vengono mostrati in cammino mentre si sforzano di aggravare le condizioni del loro viaggio verso la meta: prostrandosi, inginocchiandosi, esponendo il corpo a un lavoro di fatica e sofferenza.

Seguendo l’esempio di Werner Herzog il camminare, come antidoto alla presunzione, è sia ricerca di qualcosa di intangibile attraverso un lavoro sulla fragilità del corpo, come in Pilgrimage, sia seguire la più folle delle speranze infondate, come in Sentieri nel ghiaccio; è sempre un gesto anti-agonistico, che non riguarda le prestazioni del corpo, né la conquista di nuove geografie, e non ha connotazioni ludiche o voyeuristiche. tipiche dell’industria del tempo libero e della flânerie.

Il camminare per lunga strada di sabbia vorrebbe assomigliare a quello che cita Werner Herzog.

Camminiamo d’inverno, con ogni condizione metereologica, camminiamo la mattina presto dei fine settimana, contravvenendo alla consuetudine che ci vorrebbe a riposo dal lavoro, camminiamo senza un premio o un obiettivo previsti, verso una meta arbitrariamente prescritta dal desiderio di custodire questo tratto di costa da capoluogo a capoluogo. Camminiamo per iniziare a pensare, per morire un po’ a ciò che crediamo di sapere di noi stessi e dei luoghi e lasciar spazio a ciò che incontriamo.

Lo scorso fine settimana ci siamo spostati a piedi da Giulianova a Roseto degli Abruzzi e da Roseto a Pineto. La città-medio adriatica abruzzese è fatta di costanti e ripetizioni, come quella marchigiana, qui però varia la natura e la frequenza delle cose ripetute. Palazzine, case unifamiliari, hotel e camping, villette, giardini e grandi orti che lambiscono il mare. Un mosaico che è palinsesto di tempi, di adattamenti, convivenze, conflitti, avvicendamenti, mostruosità di «ciò che si trasforma a poco a poco, puntualmente e incessantemente.» (Bianchetti, 2002)

In questa stagione tutto è chiuso sul lungomare, solo le auto dei residenti segnalano alcune presenze, la striscia di città che si affaccia sulla sabbia è dormiente, percepisco il vuoto, dei volumi dei viali, dei lunghi giardini e degli spazi del ristoro, tutto è concavità.

Barriere frangiflutto e ripascimenti su brevi tratti s’alternano alla costa erosa quasi fino alla strada o al campo agricolo antistante. Il vento viene da nord, come noi, è persistente e freddo, le correnti spingono verso sud e le onde sono diagonali e alte sulla costa. La presenza dei rifiuti è sempre costante, in ogni tappa bottiglie, sacchetti di plastica pieni di escrementi di cane, gonfiabili, formine e altri giochi per la sabbia, reti da pesca, teli, scarpe, rami.

A Roseto veniamo avvicinati da un gruppo di persone senza cani, quindi senza apparente logico motivo per transitare a piedi così di buon mattino, col freddo, in spiaggia. Sono le guide e le volontarie della riserva del Borsacchio[3], raccontano della riserva che è lì istituita senza gestione ufficiale da più di un decennio e di come, attraverso corsi di formazione per guide ambientali, l’attività volontaria della comunità locale sopperisca, per quanto possibile, alla mancata gestione. Indifesi, irrequieti ci siamo riconosciuti identici nel desiderio, abbiamo parlato a lungo, le domande che ho per loro sono molte, tornerò qui per perimetrare la profondità della riserva che sale in collina, per imparare a riconoscere i nidi nella sabbia di uccelli e tartarughe e camminare, ancora.

La calcatreppola marittima ci riempie i pantaloni e le scarpe di semi spinosi, due rotolacampo superano i pescatori sulla riva. Prima che i pini bordino l’orizzonte a ovest attraversiamo un lungo tratto sassoso, macchiato da erbe, cespugli e tronchi sbiancati, nessuno stabilimento, solo una ciclabile e una lunga striscia di campi arati.

Vicino le foci, nei campi a riposo, i pastori fanno sosta in quella che credo sia una rotta di transumanza locale, i cani monitorano il nostro passaggio, uno cammina parallelo a noi segnando un confine col passo, un tracciato che non dobbiamo oltrepassare.

I camping che affacciano sul mare sono parcheggi regolari tra alberi e colonnine per acqua ed elettricità, oppure affollamenti di bungalow in legno, vetro e lamiera rivolti a est, alternati da pioppi e tamerici. Ogni lotto sembra offrire a tutti la stessa promessa di vicinanza al mare, riservatezza ed esclusività, a tutti lo stesso sogno seriale.

In lontananza ritrovo lo stormo di uccelli neri, si muove verso sud, canta e vola in formazioni cangianti tra la sabbia e l’argilla dei campi.

Arriviamo all’ombra dei pini che lambiscono da un lato la sabbia dall’altro la stazione, i piedi sono vagamente stanchi, i tendini tesi dal lungo tratto sui sassi s’allentano sugli aghi, l’aria è salata di iodio e balsamica di resine.

Riferimenti:

Werner Herzog (1980), Sentieri nel ghiaccio, Milano, Guanda (p.101).

Werner Herzog (2001), Pilgrimage, 18 min., 35mm, colori, musica di Sir John Tavener.

Cristina Bianchetti (2002), La città medio-adriatica, «Meridiana», n. 45, (p.56).


[1] https://designmanifestos.org/werner-herzog-the-minnesota-declaration/

[2]https://www.wernerherzog.net/legacy_shop/main/de/html/films/films_details/brief_survey.php?film_id=46&pix_id=1.gif

[3] https://www.guidedellariservaborsacchio.it/

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